Stipendio arretrato: cosa fare?
Da Redazione
Ottobre 06, 2019
Capita a volte che alcuni datori di lavoro paghino lo stipendio in ritardo e questo genera, naturalmente, numerosi problemi al lavoratore che si ritrova spesso a non poter onorare le scadenze di alcuni pagamenti. Difendersi da questa pratica è possibile grazie alla legge. Andiamo a scoprire in caso di stipendio arretrato cosa fare.
Indice:
- Stipendio arretrato: cosa fare
- L’obbligo della busta paga
- Termine entro cui va corrisposto lo stipendio mensile
- Le sanzioni
- Gli strumenti a tutela del lavoratore
Stipendio arretrato cosa fare
La legge riconosce dei precisi diritti ai lavoratori dipendenti, tra cui quello di ricevere con regolarità la busta paga. Nonostante questo chiaro obbligo capita spesso che la retribuzione venga corrisposta in ritardo da alcuni datori di lavoro, generando attrito con i lavoratori.
Un datore di lavoro insolvente viola chiaramente l’obbligo contrattuale e costituzionale poiché l’articolo 2099 c.c. e il 36 della Costituzione spiegano in modo molto chiaro il sacrosanto diritto alla retribuzione del lavoratore imponendo al datore di lavoro il rispetto dei vincoli contrattuale, anche in termine di tempistiche dell’erogazione.
L’obbligo della busta paga
Come tutti sanno un rapporto di lavoro è un contratto oneroso di scambio e con la retribuzione è l’obbligo principale del datore di lavoro che ripaga in questo modo il lavoratore per l’attività svolta per suo conto. Oltre a corrispondere la giusta retribuzione ai suoi dipendenti il datore di lavoro è tenuto per legge a rilasciare la busta paga.
La busta paga non è altro che un documento con cui il lavoratore può verificare le modalità con cui è stata calcolata la sua retribuzione. LA busta paga contiene la somma percepita dal lavoratore nel dettaglio di tutte le voci sia retributive che fiscali. Quando il lavoratore riceve lo stipendio infatti, può verificare che l’importo corrisposto sia uguale a quanto indicato nella busta paga poiché se si verificano delle difformità può intraprendere delle azioni legali.
Ecco perché non bisogna firmare la busta paga se prima non si è verificato l’accredito dello stipendio. Basterà infatti siglarla per presa visione e non per quietanza. Per legge il datore di lavoro è obbligato a consegnare al dipendente la busta paga, quindi non soltanto ad emetterla ma nello specifico a consegnare materialmente il documento.
Termine entro cui va corrisposto lo stipendio mensile
Un datore di lavoro ha l’obbligo di pagare le spettanze retributive di ogni lavoratore entro il giorno 10 del mese successivo a quello effettivamente lavorato. Il lavoratore quindi deve ricevere materialmente entro questo termine quanto gli spetta per il mese di lavoro.
Non esiste però una regola univoca per tutti i CCNL di categoria e spesso sono previsti dei termini diversi rispetto a quelli indicati nei contratti collettivi. Alcuni CCNL infatti hanno un termine al quinto giorno del mese successivo mentre i dipendenti pubblici, ad esempio, hanno come termine il 27 del mese lavorato.
Le sanzioni
In caso di mancato versamento o di ritardo nell’erogazione dello stipendio il datore di lavoro rischia di subire delle sanzioni pecuniarie piuttosto pesanti. Secondo l’articolo 5 della legge 4/53 in caso di mancata o ritardata consegna della busta paga o se i dati in essa contenuti siano inesatti o omessi, vengono applicate al datore di lavoro delle sanzioni di natura economica che vanno dai 150 € ai 900 €.
Se questo tipo di violazione si protrae per più mesi inoltre questa sanzione può essere aumentata del triplo, in particolare se questa inadempienza dura oltre i 6 mesi e coinvolge più di 5 dipendenti, la sanzione varia dai 600 € ai 3600 €, oltre i 12 mesi con più di 10 dipendenti coinvolti varia invece da 1200 € a 7200 €.
Molto importante sapere che il datore di lavoro che paga il lavoratore in ritardo, oltre alla retribuzione deve corrispondere anche gli interessi sullo stipendio per il danno subito a causa del ritardo ed il risarcimento dei danni morali per i problemi causati alla vita del lavoratore.
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Gli strumenti a tutela del lavoratore
Ma cosa può fare nello specifico un lavoratore per avere quello che gli spetta? In caso di mancato versamento della retribuzione mensile è possibile compiere una prima mossa, inviando una diffida. Si tratta di un atto formale con cui si richiede il pagamento dello stipendio arretrato. La diffida è conosciuta da molti come sollecito di pagamento stipendio e consiste, praticamente, nell’invio di una lettera in cui si evidenzia il mancato pagamento dello stipendio e si chiede al datore di lavoro di adempire ai suoi obblighi in un termine che generalmente non supera i 20 giorni.
Nel sollecito di pagamento dovrà essere preannunciato che nel caso in cui non si riceverà l’importo dovuto entro il termine indicato sarà possibile intraprendere azioni legali. Per essere effettivo il sollecito di pagamento deve essere chiaro e dettagliato, indicando il periodo e la retribuzione relativa non ricevuta, inviato tramite posta raccomandata o email tramite pec.
L’effetto della diffida è molto semplice: si mette in mora il debitore facendo scattare in questo modo il diritto agli interessi. Il sollecito di pagamento può essere inviato fino a 5 anni dal momento della cessazione del rapporto di lavoro.
L’alternativa al sollecito di pagamento è il tentativo di Conciliazione monocratica, un procedimento gratuito a cui il lavoratore può accedere senza il supporto dell’avvocato. Questa procedura ha lo scopo di sollecitare un’ispezione all’azienda, essendo rivolta alla Direzione del Lavoro. L’ispettore poi avrà il compito di definire la morosità, sollecitando un incontro tra le parti e auspicando un accordo, a seguito del quale la conciliazione monocratica si estingue.
Esiste anche un altro tipo di conciliazione, quella sindacale. Il dipendente contrasta la condotta del datore di lavoro rivolgendosi quindi ad un sindacato competente per il settore in cui opera. L’obiettivo di questa conciliazione è lo stesso: raggiungere un accordo con il datore di lavoro che ponga fine alla lite ed allontani il ricorso alla giustizia.
Il lavoratore può anche richiedere al giudice un decreto ingiuntivo, che non è altro che un procedimento breve con cui il tribunale decreta un ordine di pagamento al datore di lavoro che può scegliere entro 40 giorni dalla notifica se saldare o meno il debito. Questa procedura può essere attivata soltanto con l’assistenza di un avvocata e grazie a questo tipo di procedimento è possibile avere un risarcimento in tempi piuttosto brevi.
Entro 40 giorni dal ricevimento del decreto ingiuntivo l’azienda può corrispondere lo stipendio o presentare opposizione. Nel caso in cui non dovesse intraprendere nessuna delle due azioni il giudice predisporrà il pignoramento.
Nel caso in cui il datore di lavoro non dovesse provvedere a pagare quanto spetta al lavoratore, anche a seguito di una causa persa o di un decreto ingiuntivo, il lavoratore potrà procedere con l’esecuzione forzata ai danni dei beni posseduti dal datore di lavoro. Se l’azienda è invece fallita può richiedere il pagamento in forma anticipata accedendo al Fondo di Garanzia dell’Inps.
Importante sapere che in caso di ritardo o mancata erogazione dello stipendio in modo reiterato il lavoratore può mettere fine al rapporto di lavoro, presentando dimissioni per giusta causa anche senza preavviso. In questo caso il lavoratore avrà diritto a ricevere sia l’indennità di preavviso che l’indennità NASPI.
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